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Dopo i sommovimenti del 1989 e la caduta del Muro di Berlino, l'esistenza di Imre Kertész subisce un'accelerazione e diventa una vita nomade. Proporzionalmente alla sua fama di scrittore, aumentano i suoi viaggi e, tra il 1991 e il 1995, non fa che prendere appunti, annotare osservazioni, fissare nel racconto le proprie impressioni. Il dialogo costante con se stesso e con gli autori amati si amplia nell'osservazione della vita oltre i confini dell'Ungheria, una patria avvertita sempre più in declino e percorsa da sentimenti xenofobi e antisemiti. I viaggi sono l'occasione per confrontarsi, ancora una volta, con la propria identità di ebreo, di ungherese, di europeo dell'Est, di intellettuale a contatto con la cultura tedesca. Ovviamente, la mente non può non tornare all'accadimento che ha marcato la sua esistenza e quella dell'intera umanità: Auschwitz.